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Notizia 27/10/2021

Effetto Dunning-Kruger e l’autoillusione nel lavoro




“L'incompetente che non ha niente da fare può tuttavia combinare pasticci con quel niente.”
(Laurence Johnston Peter)


Ho sempre pensato che i bambini nascano innocenti, meravigliosamente vuoti e scintillanti, acuti di saggezza come grandi maestri Orientali.

Recipienti vuoti e scevri di inutili e dannosi concetti.
Fluidi, frizzanti, pieni di traboccante presente.

Alla sera, distesi e stanchi, si addormentano su di un letto di niente, senza la necessità di sognare l’indomani o di trattenere il giorno appena andato.

Lasciano andare ogni giorno con la naturalezza con cui la primavera torna, con passo spedito, trionfante sui campi.

Dimenticano e resettano la giornata, ignari e naturali non trattengono, non cumulano.

Gli anni passano, però, e portano via tutto questo.

Si cumulano conoscenze e concetti.
Ma il sapere è ciò che rimane una volta raschiato via quel che non si è.

Si cumulano esperienze in stive sterili senza capirne i significati, senza apprendimento, senza collegamenti, senza alcuna trasformazione, nell’incapacità di mutare tutto ciò in ciò che si potrebbe essere.

Giornate intere passate col solo intento di riempirci di eventi e fatti e di sicurezze a consolidamento di una, presunta, innata smania di controllo.
Controllo su di se stessi, controllo sugli altri, controllo sugli eventi, convinzioni e chiacchiere.


Il bambino nasce vuoto, pronto alla comprensione.
Vede il mondo che scorre e fa domande innocenti, piene di essenze.
Abbiamo perso la naturalezza delle domande.
Ci sono solo risposte.


Non siamo più in grado di vedere, ascoltare, comprendere. Siamo soltanto sicuri di sapere.

Ignoranti e incompetenti.

Si ignora tutto ciò che è.
Si ignora che le domande sono essenzialmente ciò che permette di svuotarci.
Si ignora l’umiltà di non sapere, il sorriso aperto.
Ignoriamo.

La sicurezza con cui si decretano risposte ci penalizza.
Siamo incompetenti, non abbiamo competenze per comunicare con gli altri, per svolgere un’attività, per vivere.

Il bambino dimostra sapere vero.
Guarda e ascolta.
Sa di non sapere e non cerca di nasconderlo.
Il suo orizzonte è infinito. Largo, il bambino non pretende.

Il cumulo di informazioni ci ha fatto diventare ottusi e refrattari.

Ignorano ciò che ci circonda, gridando e urlando il nostro sapere, riduciamo di fatto le nostre vedute, l’orizzonte diventa una finestra stretta e angusta, perdiamo la competenza essenziale per vivere.
Aperti e vuoti, trasparenza.


L’ignorante, l’incompetente, pretende di aver ragione per la propria ridotta visione della realtà, di quel che vive.
Non sa che la finestrella stretta è tutto ciò che possiede.
Il suo sguardo ristretto di certo non è d’aiuto a vivere la vita di ogni giorno.
Sta scivolando fuori dai giorni, lontano da ciò che potrebbe essere, lontano da quello che è.

Privi di competenze per vivere, guardiamo il mondo attraverso filtri spessi, a distorcere forme e colori, e con paraocchi, a nascondere il resto.

Si è convinti di essere nel giusto, di sapere.

Non ci si accorge di avere un proprio filtro di verità, di proprie convinzioni.
Non ci si accorge nemmeno di indossare vestiti stretti di ignoranza e incompetenza.
Non ce ne si accorge e si continua a vivere con estreme limitazioni, con effetti disastrosi nella propria vita e, soprattutto, su quella di chi ci circonda, della famiglia, amici, conoscenti.

Possiamo accorgerci che stiamo inconsapevolmente indossando qualcosa che non siamo?
Che siamo troppo pieni, di indigesta zavorra, impedendoci di ricevere e far entrare dentro di noi il nuovo, il giorno, l’alba e la vita?

“La propensione degli incompetenti all’errore è universale.
E sfida le leggi più elementari della matematica”, ho letto una volta.

Dovessimo vedere il mondo solo attraverso i nostri filtri distorti, equazioni e schiaccianti evidenze non sarebbero condizione sufficiente per farci “vedere”.

L’effetto Dunning-Krugger è invisibile a chi lo vive.



Possiamo accorgerci che inconsapevolmente indossiamo ciò che non siamo?

Osservando gli effetti catastrofici:

• La tensione nella comunicazione tutti i giorni;
• La durezza dei rapporti e la loro fragilità;
• I risultati scarsi nel lavoro, il fallimento, i sentimenti di sconforto e la pesantezza.

Ma cosa si può fare per renderci conto quanto si è realmente competenti?
Come si può sapere se crediamo solo di esserlo?

• Chiedendo feedback, ed essere pronti a sentire anche la risposta, senza che sia necessariamente presa come un attacco personale.
• Ascoltando, approfondendo, osservando attentamente, essendo aperti.
Più cose ascoltiamo ed approfondiamo su di noi, su quello che siamo, meno probabile sarà avere dei vuoti, delle lacune, che cerchiamo di colmare con fantasie ed illusioni.
Continuando a chiedere, ad essere curiosi e ad apprendere veramente non sarà più necessario usare l’immaginazione per sembrare ciò che non siamo.



David Dunning ci ricorda il vecchio proverbio: “Quando litighi con un idiota, per prima cosa assicurati che l’altro non stia facendo la stessa cosa. “


Senza una profonda conoscenza di se stessi, e di onesta indagine, saremmo sempre conviti non soltanto di essere i migliori entrando in una falsa e sproporzionata competizione, ma soprattutto vivremmo appesantiti dalla sicurezza che gli altri sono perennemente nel torto, e contro di noi.

Questa sicurezza sarà ad impedimento per trovare soluzione ai nostri problemi, ossia possiamo accorgerci di essere incompetenti, di essere noi la causa principale del nostro fallimento.



La domanda “giusta” non è COSA posso fare, ma COME fermarmi e capire.

L’ignorante, l’incompetente, non si ferma, aggiunge sempre strati su strati, per nascondere l’inferno cui è giunto.

Accumula, seppellisce a fondo ciò che è, la verità di una vita vissuta in maniera semplice e onesta, seppur con le dovute e personali ambizioni.

Coprire sempre gli odori di marcio spruzzando un profumo costoso.
Il risultato è uno spreco di denaro e di tempo, un affossamento continuo ed una sempre più disonesta modalità di rapportarsi alla propria vita e a quella degli altri.



Cerchiamo sempre più strumenti, modalità sempre più nuove e tortuose, contorte, cerchiamo fantasmagoriche, cartomantiche vie per coprire i nostri misfatti, attività fallimentari e distruttive.
L’incompetenza non è un evento, un fatto isolato, un errore circoscritto.
È un’evoluzione continua, un modo di essere.



Non si è incompetenti per i propri fallimenti.
Lo si è perché si affonda nella palude della propria disonestà intellettuale, scagliando menzogne come fossero scialuppe di salvataggio.

Risultato di un vissuto quotidiano e continuo e continuamente sbagliato, nascosto dalla luce del sole.

Si spera di ottener risultati sparando a caso in un branco di eventi e di attività, pensando: “prima o poi ci riesco”.

In realtà, il risultato si coltiva, si annaffia, si studia, si lavora. La pigrizia e la disonestà, le scorciatoie, di certo non aiutano.

Ignorando, non volendo vedere, cercando scuse e colpevoli altrove.
Un mix vincente per una vita piena di falsi presupposti, con dolo o colpa.

Ma vediamo un attimo insieme come tutto questo NON ci aiuta nel nostro lavoro.

La difficoltà nel riconoscere la propria incompetenza, le proprie mancanze, la sbagliata convinzione che nascondendo si otterrà un risultato vincente.
Tutto questo porta ad autovalutazioni non veritiere, fallaci, gonfiate e mistificatrici, con conseguenza un lavoro fatto male, errori continui e sempre più gravi.

Ci si illude di essere bravi e competenti, paragonandoci agli altri, con il chiaro, e subdolo, intento di nascondere i nostri errori, accendendo fari su quello in cui hanno fallito i colleghi.



Krishnamurti diceva: “Se non ci si confronta con nessuno, diventiamo ciò che siamo.”

In realtà aggiungerei che evitando di nasconderci potremmo riuscire a farci vedere per quello che siamo.

Evitando il paragone, onestà e apertura, visione, rispolvero di anni di inutili e stantii accumuli, cercando i problemi, le crisi, le difficoltà e provare a vederli con onestà, trovando, con duro lavoro e costanza, la propria via, una via sgombra e piena di meraviglie e soleggiati ed ampi orizzonti.

Ho letto una bellissima dissertazione, riguardo la crisi, che mi ha fatto pensare a quanto si potrebbe essere fortunati se soltanto utilizzassimo ogni problema come un trampolino per il nostro lavoro, per la nostra vita.

Eccola:


“La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie.

Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito.

E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno (o il peggio 😊, aggiungerei, ndr), perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”
(ALBERT EINSTEIN)



Siamo incompetenti e fieri di vederlo.
Riconoscendolo possiamo valutarci in maniera veritiera, ed in totale onestà intellettuale, possiamo vincere.



Bibliografia:

Effetto Dunning-Kruger

“Incompetenti ed Inconsapevoli di Esserlo: Come la Difficoltà nel Riconoscere la Propria Incompetenza Porta ad Autovalutazioni non Veritiere” (Unskilled and Unaware of It: How Difficulties In Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments).



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