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Notizia 11/11/2021

Viking Medallion - Zbrush towards Resin Printing


To watch this video, paste the following link on your address bar: https://youtu.be/85AiFuUHI5E

o click:

Viking Medallion - Zbrush to Print



In this video I used ShadowBox to create the base mesh. I chose a high resolution to get a more accurate shape.

ShadowBox's main purpose is to create any primitives you need with just a few strokes, ready for further sculpting. As I said in the previous video it is not meant to sculpt and refine models or create finely detailed models.

ShadowBox is a tool able to create all kinds of 3D primitives based on the projection of shadows towards a central volume.

First I imported the black and white drawings made with Photoshop as alpha. Then I activated the alpha on the Masks.

With ShadowBox, using masks to paint the front, side and bottom shadows of a model on the dedicated cubic ShadowBox , your model will be dynamically generated within it!

ShadowBox is based on the Remesh All function and is resolution dependent: a low resolution will create few polygons and a rough shape while a high resolution will create many polygons and a more accurate shape.

More details to :
ShadowBox

Next video, using the same procedure I’ll show you how to make a Celtic Cross.

*** RESIN ***

I just used the Zortrax Ivory/White resin.

*** Tools and Product used ***

SLA 3D Printer: Zortrax Inkspire



If you haven't done it yet, I recommend you to watch the previous video:



Viking Medallion - PhotoShop to Zbrush



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Notizia 27/10/2021

Effetto Dunning-Kruger e l’autoillusione nel lavoro




“L'incompetente che non ha niente da fare può tuttavia combinare pasticci con quel niente.”
(Laurence Johnston Peter)


Ho sempre pensato che i bambini nascano innocenti, meravigliosamente vuoti e scintillanti, acuti di saggezza come grandi maestri Orientali.

Recipienti vuoti e scevri di inutili e dannosi concetti.
Fluidi, frizzanti, pieni di traboccante presente.

Alla sera, distesi e stanchi, si addormentano su di un letto di niente, senza la necessità di sognare l’indomani o di trattenere il giorno appena andato.

Lasciano andare ogni giorno con la naturalezza con cui la primavera torna, con passo spedito, trionfante sui campi.

Dimenticano e resettano la giornata, ignari e naturali non trattengono, non cumulano.

Gli anni passano, però, e portano via tutto questo.

Si cumulano conoscenze e concetti.
Ma il sapere è ciò che rimane una volta raschiato via quel che non si è.

Si cumulano esperienze in stive sterili senza capirne i significati, senza apprendimento, senza collegamenti, senza alcuna trasformazione, nell’incapacità di mutare tutto ciò in ciò che si potrebbe essere.

Giornate intere passate col solo intento di riempirci di eventi e fatti e di sicurezze a consolidamento di una, presunta, innata smania di controllo.
Controllo su di se stessi, controllo sugli altri, controllo sugli eventi, convinzioni e chiacchiere.


Il bambino nasce vuoto, pronto alla comprensione.
Vede il mondo che scorre e fa domande innocenti, piene di essenze.
Abbiamo perso la naturalezza delle domande.
Ci sono solo risposte.


Non siamo più in grado di vedere, ascoltare, comprendere. Siamo soltanto sicuri di sapere.

Ignoranti e incompetenti.

Si ignora tutto ciò che è.
Si ignora che le domande sono essenzialmente ciò che permette di svuotarci.
Si ignora l’umiltà di non sapere, il sorriso aperto.
Ignoriamo.

La sicurezza con cui si decretano risposte ci penalizza.
Siamo incompetenti, non abbiamo competenze per comunicare con gli altri, per svolgere un’attività, per vivere.

Il bambino dimostra sapere vero.
Guarda e ascolta.
Sa di non sapere e non cerca di nasconderlo.
Il suo orizzonte è infinito. Largo, il bambino non pretende.

Il cumulo di informazioni ci ha fatto diventare ottusi e refrattari.

Ignorano ciò che ci circonda, gridando e urlando il nostro sapere, riduciamo di fatto le nostre vedute, l’orizzonte diventa una finestra stretta e angusta, perdiamo la competenza essenziale per vivere.
Aperti e vuoti, trasparenza.


L’ignorante, l’incompetente, pretende di aver ragione per la propria ridotta visione della realtà, di quel che vive.
Non sa che la finestrella stretta è tutto ciò che possiede.
Il suo sguardo ristretto di certo non è d’aiuto a vivere la vita di ogni giorno.
Sta scivolando fuori dai giorni, lontano da ciò che potrebbe essere, lontano da quello che è.

Privi di competenze per vivere, guardiamo il mondo attraverso filtri spessi, a distorcere forme e colori, e con paraocchi, a nascondere il resto.

Si è convinti di essere nel giusto, di sapere.

Non ci si accorge di avere un proprio filtro di verità, di proprie convinzioni.
Non ci si accorge nemmeno di indossare vestiti stretti di ignoranza e incompetenza.
Non ce ne si accorge e si continua a vivere con estreme limitazioni, con effetti disastrosi nella propria vita e, soprattutto, su quella di chi ci circonda, della famiglia, amici, conoscenti.

Possiamo accorgerci che stiamo inconsapevolmente indossando qualcosa che non siamo?
Che siamo troppo pieni, di indigesta zavorra, impedendoci di ricevere e far entrare dentro di noi il nuovo, il giorno, l’alba e la vita?

“La propensione degli incompetenti all’errore è universale.
E sfida le leggi più elementari della matematica”, ho letto una volta.

Dovessimo vedere il mondo solo attraverso i nostri filtri distorti, equazioni e schiaccianti evidenze non sarebbero condizione sufficiente per farci “vedere”.

L’effetto Dunning-Krugger è invisibile a chi lo vive.



Possiamo accorgerci che inconsapevolmente indossiamo ciò che non siamo?

Osservando gli effetti catastrofici:

• La tensione nella comunicazione tutti i giorni;
• La durezza dei rapporti e la loro fragilità;
• I risultati scarsi nel lavoro, il fallimento, i sentimenti di sconforto e la pesantezza.

Ma cosa si può fare per renderci conto quanto si è realmente competenti?
Come si può sapere se crediamo solo di esserlo?

• Chiedendo feedback, ed essere pronti a sentire anche la risposta, senza che sia necessariamente presa come un attacco personale.
• Ascoltando, approfondendo, osservando attentamente, essendo aperti.
Più cose ascoltiamo ed approfondiamo su di noi, su quello che siamo, meno probabile sarà avere dei vuoti, delle lacune, che cerchiamo di colmare con fantasie ed illusioni.
Continuando a chiedere, ad essere curiosi e ad apprendere veramente non sarà più necessario usare l’immaginazione per sembrare ciò che non siamo.



David Dunning ci ricorda il vecchio proverbio: “Quando litighi con un idiota, per prima cosa assicurati che l’altro non stia facendo la stessa cosa. “


Senza una profonda conoscenza di se stessi, e di onesta indagine, saremmo sempre conviti non soltanto di essere i migliori entrando in una falsa e sproporzionata competizione, ma soprattutto vivremmo appesantiti dalla sicurezza che gli altri sono perennemente nel torto, e contro di noi.

Questa sicurezza sarà ad impedimento per trovare soluzione ai nostri problemi, ossia possiamo accorgerci di essere incompetenti, di essere noi la causa principale del nostro fallimento.



La domanda “giusta” non è COSA posso fare, ma COME fermarmi e capire.

L’ignorante, l’incompetente, non si ferma, aggiunge sempre strati su strati, per nascondere l’inferno cui è giunto.

Accumula, seppellisce a fondo ciò che è, la verità di una vita vissuta in maniera semplice e onesta, seppur con le dovute e personali ambizioni.

Coprire sempre gli odori di marcio spruzzando un profumo costoso.
Il risultato è uno spreco di denaro e di tempo, un affossamento continuo ed una sempre più disonesta modalità di rapportarsi alla propria vita e a quella degli altri.



Cerchiamo sempre più strumenti, modalità sempre più nuove e tortuose, contorte, cerchiamo fantasmagoriche, cartomantiche vie per coprire i nostri misfatti, attività fallimentari e distruttive.
L’incompetenza non è un evento, un fatto isolato, un errore circoscritto.
È un’evoluzione continua, un modo di essere.



Non si è incompetenti per i propri fallimenti.
Lo si è perché si affonda nella palude della propria disonestà intellettuale, scagliando menzogne come fossero scialuppe di salvataggio.

Risultato di un vissuto quotidiano e continuo e continuamente sbagliato, nascosto dalla luce del sole.

Si spera di ottener risultati sparando a caso in un branco di eventi e di attività, pensando: “prima o poi ci riesco”.

In realtà, il risultato si coltiva, si annaffia, si studia, si lavora. La pigrizia e la disonestà, le scorciatoie, di certo non aiutano.

Ignorando, non volendo vedere, cercando scuse e colpevoli altrove.
Un mix vincente per una vita piena di falsi presupposti, con dolo o colpa.

Ma vediamo un attimo insieme come tutto questo NON ci aiuta nel nostro lavoro.

La difficoltà nel riconoscere la propria incompetenza, le proprie mancanze, la sbagliata convinzione che nascondendo si otterrà un risultato vincente.
Tutto questo porta ad autovalutazioni non veritiere, fallaci, gonfiate e mistificatrici, con conseguenza un lavoro fatto male, errori continui e sempre più gravi.

Ci si illude di essere bravi e competenti, paragonandoci agli altri, con il chiaro, e subdolo, intento di nascondere i nostri errori, accendendo fari su quello in cui hanno fallito i colleghi.



Krishnamurti diceva: “Se non ci si confronta con nessuno, diventiamo ciò che siamo.”

In realtà aggiungerei che evitando di nasconderci potremmo riuscire a farci vedere per quello che siamo.

Evitando il paragone, onestà e apertura, visione, rispolvero di anni di inutili e stantii accumuli, cercando i problemi, le crisi, le difficoltà e provare a vederli con onestà, trovando, con duro lavoro e costanza, la propria via, una via sgombra e piena di meraviglie e soleggiati ed ampi orizzonti.

Ho letto una bellissima dissertazione, riguardo la crisi, che mi ha fatto pensare a quanto si potrebbe essere fortunati se soltanto utilizzassimo ogni problema come un trampolino per il nostro lavoro, per la nostra vita.

Eccola:


“La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie.

Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni.
La vera crisi è la crisi dell'incompetenza.
L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita.
Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito.

E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno (o il peggio 😊, aggiungerei, ndr), perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.
Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”
(ALBERT EINSTEIN)



Siamo incompetenti e fieri di vederlo.
Riconoscendolo possiamo valutarci in maniera veritiera, ed in totale onestà intellettuale, possiamo vincere.



Bibliografia:

Effetto Dunning-Kruger

“Incompetenti ed Inconsapevoli di Esserlo: Come la Difficoltà nel Riconoscere la Propria Incompetenza Porta ad Autovalutazioni non Veritiere” (Unskilled and Unaware of It: How Difficulties In Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessments).





Notizia 13/10/2021

Il mondo 3d







Nei miei articoli precedenti ho già fatto riferimento a quanto la stampa 3d sia fortemente trasversale. È questa, secondo me, una delle sue caratteristiche principali, poiché le permette di trovare utilizzi in moltissimi settori.

Continuando ad interessarmi all’argomento, sono venuta a conoscenza della notizia relativa alla stampa del primo ponte in 3d.


Continua...




Notizia 29/06/2021

I miei studi sulla stampa 3D





Scrivo questo nuovo articolo ricollegandomi a un altro che ho precedentemente scritto sulla stampa 3D e sull’emozione da me provata nel vedere il mio primo progetto stampato.

Continuando a studiare questo argomento, ho scoperto molte cose interessanti delle quali prima non ero a conoscenza.


Continua...




Notizia 22/06/2021

Togli te stesso e case study: Delle Opinioni sullo Smart Working e ciò che dietro si cela




“L’uomo è difficile da scoprire, ed egli è per se stesso la più difficile delle scoperte.”
(Nietzsche)

Mi è capitato spesso di leggere la frase “conosci te stesso” come una ripetizione a memoria di un invito ancestrale, vecchio, logorato dal tempo.
Ho conosciuto Nietzsche in gioventù e a quei tempi non ho ben compreso la ragione del suo nihilismo e delle sue grida: “Diventa ciò che sei!”, “Togli te stesso”, ma più passava il tempo e più sentivo un fiume dentro di me ad ogni contatto con i suoi pensieri.
Poi ho conosciuto Emil Cioran e poi Krisnamurti e molti altri. Mi sono rispecchiata e ho vissuto nelle loro parole, nei loro pensieri. Poi ho dovuto imparare a togliere tutto, inclusa me stessa per ritrovarmi.
La verità è che mi è stato più facile ritrovarmi negli altri che iniziare a togliere.

Identificarsi con qualcosa che risuona dentro, con qualcosa che piace, con qualcosa che porta piacere, significa veramente conoscenza di sé?





La più grande ed importante scoperta che l’essere umano può fare è quella interiore, la conoscenza di sé, che fondamentalmente ci aiuta a comprendere il mondo e tutto ciò che ci circonda.

Riuscissimo a studiare i nostri pensieri, le nostre azioni, smascherando la smania di nascondere, mistificazioni, abbagli, rimarremmo più facilmente in piedi in tempo di tempesta, sarebbe più facile infine riuscire ad aiutare qualcuno, se proprio questo è l’intento tanto sbandierato dell’essere umano.

“Questo consiglio andrebbe bene per Giovanni,
questa azione dovrebbe farla Maria,
questa situazione secondo me
si risolverebbe se gli altri…”
lo pensiamo spesso, non è vero?

Se vogliamo guarire noi, sicuramente le ricette non dovrebbero essere a nome di un altro, le medicine non dovrebbero prenderle i nostri amici, né il mondo.
Se vogliamo aiutare qualcuno, aiutiamo prima noi stessi, guarendo.
Se vogliamo conoscere gli altri, conosciamo prima noi stessi, togliendo ciò che pensiamo di essere, quello che gli altri pensano di noi, le nostre proiezioni, quello che non siamo.



Non aver fretta ad esprimere un giudizio è segno di grande saggezza. È segno di voler comprendere, è segno che l’essenza e la conoscenza siano più importanti dell’opinione stessa.
Di opinionisti ne è pieno il mondo.
Scarseggiano invece persone riflessive e intellettualmente oneste.
Diciamo tante cose e agiamo in tanti modi, ma il meno sincero è il pensiero e la convinzione di sé stessi di essere onesti e trasparenti.
Pensiamo, siamo convinti di averci visto giusto, di conoscerci, di riuscire a vedere nella trasparenza delle nostre acque ma ci rendiamo conto che le nostre azioni parlano più di qualsiasi parola o convinzione.
Siamo veloci nel condannare, catalogare, stivare le persone in base a criteri più svariati e ci sentiamo meglio se i nostri giudizi sono peggiori. Sembra quasi che “apprezzare” in maniera negativa una persona, un’azione, un evento ci porti ad un godimento sottile e appagante. Essere contro, vedere il nero, impuntarsi, “giudicare”, arrabbiarsi, gridare i propri pareri, sputare sentenze. Attività che più ci piacciono, che più amiamo, che all’apparenza ci rendono migliori al nostro stesso giudizio.
Imparare a fermarsi, a riflettere invece consideriamo come una perdita di tempo. Non si dà mai tempo al tempo, come si suol dire.
Mai la pazienza di approfondire prima di parlare, ma sempre la malsana convinzione di essere nel giusto e aver compreso tutto prima di tutti e nel migliori dei modi.




Per potersi conoscere bisogna togliere quello che non siamo. Ma come scoprirci? Come comprendere l’inganno della mente che “mente”, che ci identifica sempre in tutto e con tutto?
L’onestà dell’indagine! E l’onesta è sempre dolorosa, come ben sappiamo.
“Ogni creare è un creare trasformando – e dove sono all’opera mani che creano, là sono molte morti e molti tramonti. E morire e andare in pezzi non è altro che questo: lo scultore percuote il marmo senza pietà. Per liberare dalla pietra l’immagine che vi è addormentata: – perciò noi tutti dobbiamo soffrire e morire, e morendo tramontare. “
(Nietzsche)



Che si provi a cancellare e a scolpire a martellate l’involucro, quello che si vede o quello che sembra.

Siamo cresciuti aggrappandoci ai consigli, con la convinzione che il mondo intero deve funzionare e deve nascere ed agire a nostra immagine e somiglianza.
“Io penso che le persone per essere giuste devono essere, devono fare, devono dire ciò che io pensi sia giusto.”

Devono pensare come me affinchè io le consideri, perché possano avvicinarsi a me, per aver la mia amicizia.
Il nostro giudizio viene, dunque, spontaneo in seguito a queste convinzioni.
Ma come può essere giusto giudicare le persone in base a ciò che siamo?
Come può esser reale il giudizio basato su ciò che pensiamo di essere?
Come può essere il giudizio in base alle nostre azioni, ai nostri pensieri, alle nostre esperienze di vita, al nostro vissuto?
Dunque, per non giudicare frettolosamente, ancora una volta, continuamente dobbiamo togliere noi stessi, andare nel deserto e abbandonarvisi. Perdercisi.
Ancora ed ancora…



Il flusso innocente della propria mente, l’adagio incantevole dei pensieri nella dolce luce del mattino, la freschezza delle idee… ingredienti per una conoscenza profonda e vera.

Siamo cresciuti nelle convinzioni altrui, pieni di condizionamenti, di schemi e regole una più crudele dell’altra, una più carceraria dell’altra. Siamo pieni di una metrica complessa e pesante, un labirinto in cui ci perdiamo senza poterci rivedere, ritrovare.

La comprensione ha bisogno di freschezza, abbiamo bisogno di essere sempre nuovi per riuscire a vedere il mondo in maniera innocente e senza catene.
Incatenati dai nostri limiti, autoimposti soventemente, siamo incapaci di vedere il mondo, i fatti, le persone così come sono e per come sono, ma vediamo e giudichiamo per come noi pensiamo esse dovrebbero essere, in base alle nostre etichette adesive che, con maestria e supponenza abbiamo loro appiccicato addosso.

La nostra mente deve essere scorrevole, limpida, il pensiero fluido e fresco, flessibile non rigido.
Non riusciremo mai, altrimenti, a staccarci dai condizionamenti, dalle regole, per le cui convinzioni, del mondo e della famiglia, dei nostri amici infine, abbiamo imposti.

Il pensiero creativo non è fisso, né schematico.
Il pensiero creativo fluisce, scorre indisturbato, tra le pieghe della nostra intera esistenza, creando un paesaggio piacevole, vivibile, duraturo.
La rigidità porta secchezza, come sabbia si sbriciola e sfugge tra le dita, perdendo l’importante, l’essenziale.
Perdiamo l’opportunità di comprendere gli svariati punti di vista, perdiamo l’occasione di abbandonarci al corso dirompente e fresco di ciò che veramente siamo.



Dopo aver provato a comprendere i pensieri di Nietzsche su se stessi e la vera comprensione, possiamo riflettere il tutto sulle pungenti opinioni che leggiamo tutti i giorni su tutti i Social lavorativi o meno.
Quanto è importante seguire le necessità dei molti o dei pochi o dei singoli, lavorative o personali, le necessità aziendali?

Ho avuto modo in questo periodo di seguire da vicino ed immergermi nelle scelte sia delle aziende che dei collaboratori.

Ho “ascoltato” attivamente entrambi cercando di vedere “oltre”, di comprendere e di realizzare quanto di queste nostre scelte siano ragionate, e quante involontarie, quante appesantite da convinzioni personali?

Ho sentito colleghi e aziende e punti di vista affini e contrari, si, no, mix, ragioni, ma più delle volte, andando a fondo e cercando di comprendere …ho riscontrato più” sentimento “ che “ragione” , spasmi di pancia mascherati da “punti di vista”.

Il lavoro non è un posto ma un’attitudine, un volere, la passione travolgente, il futuro fatto azione nel presente.


Mi sono “imbattuta” più nell’intransigenza che nella volontà di comprendere o nella collaborazione...
Ho sentito più sì e no categorici, altrettanto “gridati” che una sana riflessione e un punto di vista vero, pesato da fattori e dalle esperienze personali di tutti.

Se il lavoro è personale, individuale (nel senso che è fatto da individui anche se formano un Team), se il lavoro è diverso, non può coincidere, se si basa su chi siamo e cosa diamo al meglio
Perché allora tanta veemenza su qualunque delle scelte?
Perché accanimento?
Perché intransigenza?
Perché la categoricità nell’espressione?
Io penso... allora è l’unica via.
Dovremmo… perché la mia esperienza dice che…
Le aziende dovrebbero… perché grandi successi hanno detto che funziona.

Vi ricorda qualcosa?

Come in tutti gli aspetti della nostra vita, mettiamo noi stessi e non riusciamo mai a “toglierci”.

Togli te stesso…Perditi.












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